La terapia sistemica ha le sue radici nella terapia familiare, o più precisamente nella terapia dei sistemi familiari. In particolare, la terapia sistemica affonda le sue radici alla scuola milanese di Mara Selvini Palazzoli, ma deriva anche dall’opera di Salvador Minuchin, Murray Bowen, Ivan Boszormenyi-Nagy, nonché Virginia Satir e Jay Haley dell’MRI di Palo Alto. Queste prime scuole di terapia familiare rappresentavano adattamenti terapeutici del più ampio campo interdisciplinare della teoria dei sistemi che ebbe origine nei campi della biologia e della fisiologia. Le prime forme di terapia sistemica erano basate sulla cibernetica. Negli anni ’70 questa comprensione della teoria dei sistemi era centrale per le scuole di terapia familiare strutturale (Minuchin) e strategica (Haley, Selvini Palazzoli) che si sarebbero poi sviluppate in terapia sistemica. Alla luce della critica postmoderna, l’idea che si potessero controllare i sistemi o dire oggettivamente “ciò che è” è diventata sempre più in discussione. Basato in gran parte sul lavoro degli antropologi Gregory Bateson e Margaret Mead, ciò ha portato a uno spostamento verso quella che è nota come “cibernetica di secondo ordine” che riconosce l’influenza dell’osservatore soggettivo in qualsiasi studio, applicando essenzialmente i principi della cibernetica alla cibernetica – esaminando l’esame. Di conseguenza, il fulcro della terapia sistemica (ca. 1980 e oltre) si è spostato da un modello modernista di causalità lineare e comprensione della realtà come oggettiva, a una comprensione postmoderna della realtà come socialmente e linguisticamente costruita.
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